CENERE IN PARADISO

Leggenda  del  Certosino

di   Paolo Bisso

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DESSE’ : Gatto nero

CAROUSEL : Pipistrello

CARRIOLE : Capra

LUI : Templare

PERIODO : II  Crociata

LUOGO : Castello medioevale Francese

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Il sottile filo di demarcazione, che là in basso confonde il cielo al suolo, si era improvvisamente animato, quasi la bocca della terra, avesse vomitato una creatura rumorosa ed informe.

Gli anelli concentrici del tempo, riportavano l’alito dei ricordi nella mente di Dessè,

disteso sull’apertura della torre di pietra, in una attesa senza speranza.

I pungenti raggi di un sole non ancora risorto, trafissero la verzura della valle sottostante, imprigionata ed irrigidita in una custodia bianca scintillante, e definirono i contorni di quell’ammasso, che tuonando, si avvicinava rapidamente.

Non solo il rombo degli zoccoli dei cavalli, o l’aria fredda ed umida, preludio di una stagione che stava iniziando, sollevarono definitivamente Dessè dal suo torpore, ma colpa forse dell’insinuarsi prepotente di una vivida ed irragionevole sensazione di ansietà

I suoi occhi ora, non somigliavano più alle celate della torre, ma ben spalancati, coglievano i dettagli del gruppo che avanzava nella spianata sottostante alla grande costruzione di pietra

Alla fine un tuffo nel passato: Lui  lo aveva colto tra le sue calde stoffe, sottraendolo da un anfratto della muraglia, zuppo ed affamato, e con mano ferma gli aveva ordinato il mantello in carezze meno rugose di quelle della lingua di una mamma, rimastagli sconosciuta.

Il sole rifletteva in brevi abbagli i suoi raggi sulle vesti metalliche e luccicanti del drappello, ferendo a tratti la sua vista, mentre, l’umidità che sgorgava dal terreno,

in una sorta di foschia lattea, aveva sigillato il confine della spianata alle spalle dei cavalieri, quali vibranti anime risorte alla luce.

Era proprio Lui alla testa del gruppo… era finalmente ritornato.

Lo strazio del distacco, dell’abbandono, veniva lentamente allontanato dal ribollire di sensazioni audaci ed irrefrenabili che scuotevano profondamente il suo essere e non gli consentivano al contempo nessuna reazione.

Senza rendersi conto, un acuto ed imperioso richiamo trascinò Dessè attraverso la stanza, i corridoi la scalinata di pietra a spirale, giusto in tempo per giungere al cortile interno, dove i cavalli, scalpitando sul selciato, sbuffavano la loro fatica in nuvole di vapore.

Dessè incontrò quello sguardo che ben conosceva, e per nulla distratto dal vociare degli Umani indaffarati nell’accudire dei nuovi arrivati, salito sull’onda più alta, si lasciò trasportare, in una sorta di piacevole incoscienza che lo conduceva solo a Lui.

Dopo tanto, finalmente era tornato.

Lui stava salendo i gradini velocemente, ed entrato nella sua stanza, lo stupore stampato sul viso si era trasformato in un largo sorriso, nell’avvedersi di avere Dessè accucciato alle sue spalle.

Stesi sul ripiano morbido, Lui raccontava di gesta, di battaglie e di scontri aldilà delle grandi acque, mentre Dessè  non comprendeva molto e lo lasciava sfogare, unendo il suo ronfare sordo, ai quei suoni, che sempre più lenti, fluivano dalla bocca dell’umano.

Il tempo di un ultimo sospiro, il guizzare della luce negli occhi e la quiete si prese l’infinito.

Il silenzio non era stato interrotto nemmeno dal tonfo del sole, oltre la collina, che immergendosi nello stagno,  aveva sollevato spruzzi d’oscurità.

Dalla trave che sporgeva sopra il focolare del caminetto, nella solita posizione a testa all’ingiù, Carousel si sgranchì le ali felpate, ed uscito dal suo sacchetto di pelle, si immerse nelle tenebre all’esterno con il solito zigzagare impacciato.

Dessè lo aveva sorpreso a terra da cucciolo, ne aveva saggiato la consistenza misurandolo tra i baffi, e non lo aveva neppure preso in considerazione, benché assomigliasse ai tanti abitatori della torre e dei cunicoli nel sottosuolo.

Lo sbatacchiare disordinato delle zampe anteriori, curiosamente palmate, ed il rotolare goffo nel tentativo di incedere, rendevano ai suoi occhi Carousel, ridicolo ed indifeso.

Gli Umani vennero a chiamare Lui, mentre al piano basso erano stati approntati lunghi tavoli, accese luci infuocate sui muri e dalle cucine veleggiavano nei chiaroscuri, odori assai attraenti.

Nello schiamazzare del salone, si udivano suoni melodiosi che degli umani in disparte, traevano da prolunghe dorate delle loro bocche, e da legni sporgenti dal loro ventre.

Dessè stava acquattato su una panca di legno, vicino al fuoco nel muro, le cui fiamme lambivano gli spiedi, attendendo il momento propizio per sgraffignare qualche avanzo, di cui intravedeva grande abbondanza sulle tavolate.

Gli schiamazzi salivano sonori al cielo, sino a disturbare la signora della Notte, che quasi di repentino, velò la sua argentea luminescenza.

Tutto era tornato come prima, forse non era cambiato niente dal momento che la mente di Dessè aveva inchiodato la coda del tempo, imprigionandola in una immobile felicità.

Anche Carriole partecipava alla mensa, immergendo la sua buffa barbetta nelle ciotole e rovesciando, con gli spuntoni sporgenti dal capo, quel poco rimasto ordinato sui tavoli.

La sua rovinosa azione, proseguiva incessante, e sempre più devastante man mano che leccava un liquido scuro e scorrevole che impiastricciava abbondantemente tavoli e pavimento.

Mentre gli Umani, stesi dappertutto alla rinfusa, russavano sonoramente, ed i primi fuochi si spegnevano sui muraglioni, stemperando la vista di un disordine che regnava sovrano, Dessè si mosse a banchettare.

Alla fine lo ballonzolare della borsa che Carriole aveva tra le gambe, mentre si allontanava dalla sala, ed il ticchettare degli zoccoli sulla pietra, riportarono Dessè alla realtà

Improvvisamente la vita gli riesplose dentro, il momento triste, oppure

la solitudine e l’abbandono, si erano defilati senza tracce.

Il cielo rilasciava una miriade di globuli bianchi e leggeri che con il loro moto ondeggiante, avevano ammantato le alture e la valle, di una spessa coltre iridescente.

Dessè sull’apertura della torre, si lasciava trasportare in sogni, quasi prigionieri del moto circolare degli anelli concentrici del tempo.

Dapprima ovattato, poi regolare ed incombente, il galoppo dei cavalli si fece sentire alla base della spianata, ombre evanescenti, quasi un presagio di nuove sventure.

I fuochi accesi nei muri tutte le notti, i tavoli sistemati nel salone non per banchettare, ma per far prendere posto agli umani dagli strani copri capi che ne nascondevano parte della testa e del volto.

La sparizione di Lui, dal ripiano morbido in cui riposavano, immerse Dessè in una fossa d’inquietudine che non avrebbe mai voluto rivivere.

Non capiva perché ed era forse per questo che non voleva darsi pace.

Lo aveva cercato in tutta la grande costruzione di pietra senza trovarne traccia.

Poi una mattina, quando il vento scandagliava gli angoli più nascosti, il suo sottile odorato gli aveva dato l’orientamento, verso la parte più profonda delle scalinate, dietro una pesante porta di legno. La Sua presenza era inconfondibile.

Benché Lo avesse chiamato, ed avesse inciso profondamente con le unghie il legno della barriera, nulla aveva ottenuto a conforto della sua solitudine.

Rampini uncinati, ansia e ribellione si miscelavano nei rari dormiveglia di Dessè, che non si dava ragioni per questo nuova separazione.

Voci umane stridule e fastidiose, provenienti dal basso, gli fecero assistere ad una rappresentazione assai strana ed incomprensibile, mentre si teneva celato nell’ombra la dove, le scale formano una grande ansa.

Lui era seduto davanti al grande tavolo e, vestito di una minuscola stoffa lacera e strappata, rispondeva in toni pacati e suadenti allo strepitare sconnesso e minaccioso degli altri Umani.

Il Suo petto, eretto e potente, era chiazzato di striature brunastre, mentre le sue mani erano imprigionate in una morsa metallica.

Dessè si chiedeva del perché di tutto questo, del perché Lui dopo queste lunghe scene, venisse tradotto in basso, dietro il pesante ostacolo di legno che ne attutiva i rari sospiri.

Ora i sui pensieri turbinanti, cadevano a terra come foglie secche e sentiva il desiderio impellente di potersi appiattire, liquefare forse, e scorrendo tra le sconnesse pietre del pavimento ricongiungersi con Lui aldilà della barriera.

Prima che i raggi del sole stracciassero il mantello notturno, Carousel rientrò con un fremito d’ali e dopo alcuni giri sulla testa di Dessè lo risvegliò dal profondo sonno.

Un bagliore quasi artefatto s’intravvedeva sull’apertura della torre, ad illuminare le pareti di pietra, ed il candore della spianata.

Là in alto Dessè era investito dalle ondate di calore che si facevano gradatamente più intense  e luminose.

Gli si spezzò qualcosa dentro, quando in un flebile gemito riconobbe la voce di Lui in mezzo alle fiamme.

Come le bollenti pulsazioni gli giungevano a ritmo incessante, così Dessè, trascinato da pensieri angoscianti, si trovò a confrontarsi con stimoli rabbiosi che non gli lasciavano scampo.

Le vampate erano diventate insopportabili, e per Dessè ora non contava più nulla.

Tutto si stava esaurendo in una disperazione senza controllo, senza contegno, senza fine.

Il futuro, abbandonato da Lui non aveva più senso.

Carousel – amico di tanti giochi – insegnami tu !

Dessè sentì per un attimo l’aria della notte sul muso, ed in quel volo pauroso, fu inghiottito dal buio.

Il calore era al culmine, quando atterrato sulla cima del palo che, con un cigolio sinistro si era abbattuto sulle fascine incandescenti, lo aveva trascinato assieme a Lui, in un turbine di scintille crepitanti, là sul terreno, dove il fuoco aveva disciolto il manto bianco.

Si era aggrappato ai resti fumanti delle vesti di Lui, in una serie di rotolamenti che sembrava non avesse mai fine.

Le braci sfavillanti che impavesavano il suo mantello nero, si spegnevano gradatamente, stemperandone il colore in un grigio dai riflessi bluastri, mentre il cielo aveva ripreso a lacrimare.

Avvinto a Lui, incastonato per sempre nel suo corpo, ebbe la sensazione di una presa, di 

un’ultima carezza dalla mano forte e scarna, prima che la cenere, giunta al cielo, ricadesse a sigillare un patto senza condizioni.